Ripropongo quanto ho scritto alcuni
anni fa.
È necessario un sia pur breve ed incompleto
inquadramento storico della situazione attuale.
Il popolo
ebraico, dopo la diaspora, è riuscito nei secoli a conservare la propria
identità ed a tenere presente il desiderio di un ritorno alla terra dei padri (significativo
l’augurio vicendevole scambiato annualmente: l’anno prossimo a Gerusalemme).
Il sionismo,
nel suo versante politico, è nato alla fine dell’800 con Herzl e la sua idea di
una Carta dei diritti ebraici garantita dagli Stati Europei.
Si è
sviluppato ulteriormente con Weizmann, che era riuscito a strappare
all’Inghilterra, con la dichiarazione di Balfour del 1917, un impegno preciso.
Ma l’idea che avrebbe portato alla costituzione dello Stato di Israele era
stata nel 1945 di Ben Gurion il quale aveva chiaramente intuito che soltanto
l’appoggio forte degli Stati Uniti sarebbe stato determinante, anche per la
presenza delle potenti lobby ebraiche statunitensi.
A sostenere
Ben Gurion vi era la simpatia e la solidarietà di gran parte del mondo e specie
di quello europeo per l’orrendo olocausto subito dagli ebrei. E così si
intensifica la spinta migratoria verso la Palestina e si intensificano anche i
guai.
Varie
spiegazioni tentano di inquadrare la dolorosissima situazione attuale.
Una giusta
logica avrebbe voluto che una soluzione così drammatica venisse attuata dopo
una paziente opera di mediazione tra ebrei e palestinesi; questi ultimi, di
fatto, erano in casa propria da sempre, nati e cresciuti nel territorio dei
padri e dei padri dei loro padri. Se il sionismo che Martin Buber vagheggiava nell’ideale messaggio espresso
nella sua opera più celebrata (Ich und Du), quel suo sogno in cui arabi ed
ebrei, umani soggetti di un rapporto intenso e personale, animati
dall’intenzione di collaborare, fosse riuscito ad improntare anche parzialmente
l’azione di Ben Gurion e degli altri protagonisti, il corso degli eventi
sarebbe stato verosimilmente diverso.
Gli Stati Uniti, l’Europa e particolarmente l’Inghilterra o sono rimasti
alla finestra a guardare, o peggio per i loro interessi, hanno favorito
l’immigrazione violenta dei superstiti di quella vergogna dell’umanità che sono
stati i campi di annientamento nazisti. Sicuramente la convinzione che uno
stato ebraico filo-occidentale avrebbe favorito gli interessi degli occidentali
in un mondo arabo “infido” non è stata di secondaria importanza. Sarebbe stato
necessario ai fini di una reciproca tolleranza e di una vera pacificazione tra
i due contendenti operare, immediatamente, per la costituzione anche di uno
stato palestinese con precisi confini; ma questo evidentemente non rientrava
nei disegni occidentali. In questa situazione è comprensibile, drammaticamente,
da una parte l’ostilità palestinese e dall’altra la paura di una possibile
distruzione dello stato d’Israele. Così stando le cose gli israeliani potevano
scegliere tra una strada difficilissima, che era quella di attenuare i
contrasti con la controparte e cercare di ridurre l’odio dei palestinesi per
gli “intrusi”, e la strada della forza, la strada da sempre scelta da chi la
forza la possiede, la strada di coloro che sono convinti che con la forza si
possano conculcare diritti sacrosanti, una strada che alla distanza mostra
tutta la sua utopia e stupidità, perché fa irrobustire i, l’odio, sentimento
terribilmente negativo che ragionevolezza vorrebbe non ci fosse ma specialmente
da ridurre al minimo tra due popoli in stretta convivenza. Gli attentatori
suicidi palestinesi potrebbero vantare un
fulgido esempio in un certo Sansone; invoca il Signore dicendo: Signore Iddio
rendimi le mie forze di un tempo affinché possa vendicarmi dei miei nemici. Quale
è la differenza con gli emuli palestinesi odierni? Le rappresaglie dello Stato
di Israele non hanno aggiunto una jota alla sicurezza dei suoi abitanti, come
praticamente e chiaramente è sotto gli occhi di tutti, ma sono riusciti a
sviluppare i nefasti sentimenti di vendetta e di odio con relative pratiche
manifestazioni di una disumana spirale di sangue che chiama sangue che lascia
inorriditi. Il diritto internazionale che limiti pone all’uso della
rappresaglia considerando che questa è espressione di gravissima mancanza del
senso morale,di comportamento disumano di una società che si proclama civile
non dovrebbe minimamente tollerare; quanta è la distanza dalla legittima
difesa? La rappresaglia come oggi è praticata si può dire, senza alcun dubbio, che
è espressione di un totale disconoscimento del Preambolo della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo e di numerosi suoi articoli.
(tratto da Equinozio edizione Edas 2003)
Saltando a
piè pari nella più tragica quotidianità, possiamo dire senza ombra di dubbio
che questo è l’evidente esito della improvvida nefasta unilaterale costituzione
che nel 1948 ha dato vita allo Stato di Israele. Nel corso degli anni se non
ricordo male, questo ha ricevuto numerose critiche e avvertimenti da parte
dell’ONU; i governi israeliani del tempo, sicuri della protezione statunitense,
non ne hanno tenuto nessun conto. Gli attacchi e contrattacchi israelo –
palestinesi causavano entifade e guerre che costantemente si risolvevano con il
predominio israeliano data la evidente sproporzione delle forze in campo e la
smaccata protezione statunitense.
Riflettendo
sulle più immediate operatività organizzate dall’arrogante squilibrato
comportamento dell’attuale governo guidato da Netanyahu, ci sembra che il
massimo della nefasta attività israeliana sia stato raggiunto; sono evidenti,
anche se insufficienti i segni di uno sganciamento statunitense che
praticamente ha bloccato l’espansione dei coloni israeliani oltre il Giordano,
per cui si può sperare in una futura riduzione ed un rientro della sovranità
israeliana entro i precedenti confini.
Il contrasto,
la rivalità tra israeliani e palestinesi che dura ormai da parecchi decenni,
presumibilmente, dolorosamente durerà per un tempo che è difficile definire. Bisognerebbe
ricominciare da quella visione
equilibratamente, naturalmente espressa da Martin Buber, ritornare al sogno, concretizzare
quel sogno che unificava arabi e ebrei, umani soggetti di un rapporto intenso e
personale, animati dall’intenzione di collaborare.
Purtroppo
gli israeliani e gli ebrei in genere non vogliono rendersi conto che quel tempo
in cui poteva esistere un popolo eletto è drasticamente, fortunatamente,
tramontato definitivamente. A parer mio, con profondo tentativo di essere
equilibrato, sono gli israeliani che devono ridurre la arrogante superba
convinzione di continuare a considerarsi anche se ambiguamente, popolo eletto e
uniformarsi equitariamente all’intera popolazione umana di cui sono parte.
Praticamente
considerare terroristi quel pugno di disperati che combatte con coltelli e
pietre contro il super organizzato esercito israeliano, è un ambiguo tentativo
di falsificare dati concreti; certo esistono anche coloro che usano esplosivi e
a questi si può attribuire giustamente la qualifica di terroristi. È la
dignità, gli intrinseci valori palestinesi conculcati dalla arroganza
israeliana che “costringe”all’intifada. La concreta soluzione di queste
drammatiche situazioni, oggi allo stato dei fatti è da considerarsi inattuabile.
A voler essere ottimisti ed utopici e diluire una giusta soluzione in tempi non
troppo lunghi si presenta una unica realistica prospettiva. Questa prospettiva
è evidentissima ed è teoricamente e pragmaticamente la costituzione di uno
stato palestinese con precisi confini e con piena dignità costituzionale e
operativa. Non esistono altre possibilità, altre modalità al di fuori di
questa; fin quando non si arriverà all’obbligatoria corretta realizzazione di
uno stato palestinese con le qualità e caratteristiche già dette, tutto il
resto saranno chiacchiere, spesso drammatiche ed espressione di un continuo
sfruttamento da parte del mondo occidentale disinteressato egoisticamente ad
una corretta soluzione e al mantenimento dello status quo. Certo che la lunga
conflittualità tra i due gruppi, non sarà possibile cancellarla con un colpo di
spugna, residueranno purtroppo code difficilmente ineliminabili che
conserveranno conflittualità che
potrebbero prolungarsi per altri drammatici anni.
sono riflessioni di un semplice essere umano, certamente non esperto che cerca di approfondire il più equilibratamente possibile
Ad ogni buon
conto riportiamo la traduzione inglese
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